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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Loredana Lipperini, Ancora dalla parte delle bambine

[Feltrinelli, Milano 2007]

Trentacinque anni fa Elena Gianini Belotti pubblicava un’inchiesta sui meccanismi di precoce costruzione delle identità di genere, Dalla parte delle bambine (1973). Ha senso, oggi, porsi «ancora » in quella prospettiva? La divisione del mondo per generi non dovrebbe essere qualcosa di superato? Dopo la lettura del libro di Loredana Lipperini la risposta non può che essere «no». I modelli di femminilità costruiti e trasmessi dalla famiglia, dalla scuola, dalla letteratura per l’infanzia sono ancora profondamente tradizionali. Risultati non diversi danno le analisi di più moderni prodotti dell’immaginario, per i quali le distinzioni tra donne e bambine appaiono sempre più sfumate: riviste o programmi dal target adolescenziale sono consumati da bambine delle elementari, media come la televisione, la pubblicità e internet sono fruiti da un pubblico indifferenziato.

Porsi nuovamente «dalla parte delle bambine» presuppone perciò un’analisi della costruzione sociale dei due sessi nel mondo adulto che, con la percezione di sé inconsapevolmente offerta ai bambini, ma anche con una studiata proposta di consumo differenziata tra maschi e femmine, impone distinte educazioni di genere. L’inchiesta di Lipperini è tanto intelligente nel cogliere questi mutamenti quanto nell’evitare ogni forma di allarmismo aprioristico. I prodotti culturali di massa e i media che li diffondono non vi sono stigmatizzati: i media sono, appunto, soltanto «mezzi», specchi della realtà che li produce. Non sono i videofonini a generare il bullismo; la violenza di gruppo di bambini o adolescenti preesiste a YouTube, ma anche al Giovane Törless. Semmai, una sciocca esibizione narcisistica, tanto più facilmente accessibile con i nuovi mezzi, consente al mondo adulto di accorgersene.

Se catastrofismo, o meglio, allertato disagio, è giusto che il libro produca, riguarda piuttosto la realtà sociale che questi specchi ci rimandano. Le innegabili conquiste legislative del femminismo non hanno corrisposto a un mutamento profondo delle strutture di pensiero, che costituiscono la base, così difficile da erodere, del dominio maschile. Non sono scomparsi i principî di percezione del mondo che rimandano a una gerarchia di rapporti tra i generi: basti, a dimostrarlo, l’inquietante attualità delle considerazioni, citate da Lipperini, non solo di Dalla parte delle bambine, ma anche del Secondo sesso di Simone de Beauvoir (1949). La nostra immagine del femminile è ancora legata alla riduzione della donna a corpo (e dunque del suo corpo a oggetto), a un ruolo sociale di accudimento, a un’ “alterità” naturale se non addirittura magica, quindi al di fuori della storia: le “nuove” eroine dei cartoni animati, le Winx o Sailor Moon, nuove non possono essere finché ripropongono questi stereotipi.

Studiare i prodotti della cultura di massa consente di liberarsi da un’alternativa che tende, nei suoi due corni, a una semplificazione: da una parte, gli strilli scandalizzati della televisione e dei quotidiani, che lanciano allarmi impotenti di fronte a episodi di cronaca che hanno per vittime le donne, o per protagoniste madri assassine, adolescenti anoressiche, cubiste tredicenni; dall’altra, l’ingenuo ottimismo prodotto dall’accesso di alcune donne a posti di responsabilità economica o politica. Tra i due piani, tra le emersioni di violenza nella cronaca e la parità di diritti teoricamente garantita, l’analisi della sfera dell’immaginario offre la necessaria mediazione: le ricostruzioni mentali della realtà vi agiscono concretamente, influenzando i comportamenti e le scelte di donne e uomini, anche di quelli più colti e criticamente consapevoli.

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